Fabiana Calsolaro

Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo

La produzione letteraria svizzera nelle quattro lingua va in scena al festival di Poschiavo. Intervista a Begoña Feijoo Fariña.

FC: Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo, il festival dedicato alla produzione letteraria svizzera nelle quattro lingue nazionali, si terrà quest’anno per la prima volta dal 1 al 3 ottobre con una programmazione che porta sul palco note personalità del panorama letterario svizzero. Per quanti ancora non lo conoscono, come descriverebbe l’evento?

 

BFF: Si tratta di un festival interamente dedicato alla produzione letteraria svizzera dei nostri giorni. Uno spazio dedicato alla letteratura, che ha come obiettivo quello di portare l’attenzione sul valore del plurilinguismo nazionale. Quando si parla di letteratura svizzera, bisogna tener conto del fatto che, avendo quattro lingue, il panorama è estremamente variato e certamente influenzato dalle lingue in cui si scrive. Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo è stato pensato proprio come luogo in cui valorizzare questa ricchezza, attraverso incontri con gli autori che scrivono nelle diverse lingue.

Begoña Feijoo Fariña: Ideatrice del progetto e direttrice artistica, autrice e operatrice culturale

 

Il festival nasce per “avvicinare” la realtà periferica della Valposchiavo a quelle dei più grandi e lontani centri abitati della Svizzera, dove di solito si svolgono eventi di questo tipo. L’obiettivo, però, è anche di rendere la valle punto d’incontro delle lingue nazionali per qualche giorno, a dimostrazione del fatto che ci può essere condivisione anche senza una piena comprensione reciproca e in assenza di una lingua franca. È la letteratura il ponte comune?

 

Sì, credo che anche questo sia uno dei poteri della letteratura: creare ponti. L’incontro con realtà letterarie di altre regioni linguistiche, nazionali e no, avviene grazie al prezioso lavoro dei traduttori, ma non tutti gli autori di valore sono tradotti e spesso passano anni da quando un’opera viene pubblicata a quando possiamo vedere le sue prime traduzioni. Noi desideriamo superare questo limite, proponendo anche autori che ancora non sono stati tradotti nelle altre lingue nazionali. Inserendo questi autori in un contesto come quello del festival, essi saranno presenti insieme ad altri che invece di traduzioni ne hanno molte e da diversi anni. Non avendo un’unica lingua in cui discutere delle diverse produzioni letterarie, il pubblico si troverà a vivere la complessa esperienza di capire “a volte tutto” e “a volte poco o niente”. Quello che speriamo è che quest’esperienza porti un’apertura verso l’altro, una curiosità che vada oltre il limite che può rappresentare la conoscenza linguistica.

 

È un festival in Valposchiavo, per la Valposchiavo o mira a richiamare gente da tutto il Cantone e anche da fuori?

 

È ognuna delle cose che elenca. È in Valposchiavo perché la valle merita di averlo. Questo è un territorio culturalmente attivo, fertile e curioso. Nonostante l’ultima libreria della valle abbia chiuso anni fa, la popolazione legge molto ed è attenta a ciò che accade fuori dai propri confini. Per questo è anche per la valle. 

Certamente miriamo anche ad attirare in Valposchiavo pubblico da tutto il Cantone, così come dal resto della Svizzera e dalla vicina Italia. Questo è però un obiettivo a lungo termine, non mi illudo che le prime edizioni attirino in valle un numeroso pubblico da fuori, ma spero ciò accada tra qualche anno, per questo dobbiamo lavorare con grande professionalità, avere in chiaro i nostri obiettivi e offrire agli autori un luogo dove recarsi volentieri a parlare del proprio lavoro.

 

Gli incontri in programma si svolgeranno in forma di dialogo tra gli scrittori e le scrittrici ospiti: cosa ci si può aspettare? Ciascuno potrà parlare nella propria lingua madre?

 

Inizialmente volevamo che gli incontri si svolgessero totalmente nella lingua degli scrittori con una traduzione in consecutiva in italiano. I fondi insufficienti ci hanno costretti a pensare soluzioni alternative. Quella che alla fine abbiamo deciso di adottare è anche più vicina agli scopi del festival di quella iniziale: gli incontri si terranno contemporaneamente in più lingue. Abbiamo scelto dei mediatori in grado di gestire l’incontro nelle due lingue e abbiamo optato per la doppia lingua in ogni incontro. Per esempio, le autrici francofone potranno parlare nella loro lingua, mentre Pierre Lepori (che può vantare una grande esperienza in questo genere di incontri) dialogherà con loro nella loro lingua e con il pubblico in italiano. Questa mescolanza di lingue durante gli incontri con autori non italofoni, trovata per necessità, credo si rivelerà funzionale per quanto riguarda l’attenzione al plurilinguismo. 

 

Sorge allora una domanda: l’obiettivo originale era davvero portare l’attenzione sul valore del plurilinguismo o piuttosto sulle difficoltà delle minoranze linguistiche, quale l’italiano in Svizzera e nei Grigioni?

 

Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo NON è un festival di valorizzazione delle minoranze linguistiche. Al contrario, ciò che desideriamo fare è mettere sullo stesso piano tutte le lingue nazionali, senza lotte né recriminazioni. È più un gesto d’amore verso la pluralità che non un tentativo di difendere qualcuno da qualcun altro. Il fatto che nasca in un cantone, l’unico, trilingue sicuramente è importante. Questo è il territorio che più contiene in sé questa ricchezza, quasi una Svizzera ridotta. Non sono in grado di dire se la decisione di far nascere Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo sia conseguenza del territorio in cui abito, anche perché è una cosa che un po’ già sognavo quando ancora vivevo in Ticino. Sicuramente quello che vogliamo fare non è rivendicare un’uguaglianza, non è nostro compito né desiderio farlo, ci sono altre istituzioni che si occupano di questo aspetto. A noi interessa mettere al centro la ricchezza culturale, farla conoscere e renderla accessibile a tutti. 

 

Gli autori e le autrici rappresentano un ventaglio ricco di influssi linguistici, che sembra andare anche oltre i confini nazionali. Mi riferisco, in particolare, alla presenza della scrittrice e giornalista Dragica Rajčić Holzner, la quale pur scrivendo in una lingua nazionale, ha un’altra madrelingua poiché di origine croata: c’è l’ambizione di mettere al centro un plurilinguismo che attraversa i confini svizzeri? 

 

Sì, è nostra intenzione inserire in programma ogni anno almeno un’autrice o un autore che abbia vissuto o messo in atto questo percorso dalla lingua madre alla lingua d’accoglienza. La Svizzera è ricca di scrittori con questo vissuto, scrittori di valore che ne arricchiscono il panorama letterario. Va ricordato che Agota Kristof, conosciuta e letta in tutto il mondo, era scrittrice svizzera d’adozione, nata e cresciuta in Ungheria ma scrittrice di lingua francese dopo il suo arrivo a Neuchâtel.

 

So che per una madre i propri figli sono tutti uguali, ma c’è un incontro in questa prima edizione al quale tenete o lei personalmente tiene in maniera particolare?

 

È molto difficile rispondere a questa domanda. Sicuramente l’ospite che più di ogni altro rappresenta il festival è Viceversa Letteratura. Loro fanno da anni ciò che noi stiamo provando a fare adesso: valorizzare la letteratura svizzera nelle diverse lingue che la compongono. Ci sentiamo rappresentati da Viceversa Letteratura in gran parte dei nostri obiettivi, poterla avere come ospite speciale a Poschiavo ci rende particolarmente felici. 

Personalmente sono poi molto contenta di portare Dragica Rajčić Holzner a Poschiavo. L’abbiamo scelta e contattata mesi prima che vincesse il premio svizzero di letteratura e ogni tanto mi chiedo se avessi aspettato a scriverle, avrebbe potuto ancora dirmi di sì?

Sono anche entusiasta di poter presentare in anteprima la traduzione che Amalia Urbano ha fatto per Gabriele Capelli Editore di Primitivo di Pedro Lenz. 

Insomma, amo ogni figlio per motivi diversi e sceglierne uno è davvero difficile!

 

Oltre alla letteratura plurilingue, si dedica molto spazio e attenzione anche a un’altra espressione artistica, la musica. Forse che la musica, oltre alla letteratura, può rappresentare quella lingua in un certo senso franca, il ponte che assicura comprensione dove una lingua franca reale non c’è?

 

Sì, questo è uno dei poteri della musica. Agisce su una percezione che va oltre tutto ciò che abbiamo di appreso. La lingua è appresa, la comprendiamo perché l’abbiamo imparata. La sappiamo. Non è così per la musica, sicuramente non è così per le sonorità che Federica Gennai ha creato per l’inaugurazione di Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo. Possiamo solo ascoltarla e lasciare che ci parli. Forse però non è proprio una lingua franca, perché spesso ne abbiamo un vissuto diverso. È più come una non-lingua: parla a ciascuno in base al proprio bagaglio e allo stato emotivo del momento in cui la si ascolta. 

 

 

Questo festival diventerà un appuntamento fisso della Valle? E se il piano è questo, avete già qualcosa in mente per la prossima edizione che magari quest’anno non è stato possibile realizzare?

 

Come dicevo, abbiamo in mente alcuni cambiamenti, ma non per la prossima edizione, che probabilmente avrà la stessa forma di questa. 

Stiamo invece valutando un nuovo progetto, da inserire in questo, a partire dal 2023. Si tratta però di un progetto molto ambizioso, e conseguentemente molto costoso. Ci siamo dati tempo un paio di anni per valutare la sua realizzazione.

 

Cosa si aspetta da questo festival lei che gli ha dato vita? Cosa resterà o si aspetta che resti dopo? Cosa deve portare, generare, dimostrare perché possa definirlo un evento riuscito?

 

Sarei tentata di rispondere che ci aspettiamo nulla, è il solo modo per non fallire: niente aspettative! 

Abbiamo però dei desideri. Personalmente vorrei che restasse la voglia che arrivi presto quello del prossimo anno. Vorrei generare nel pubblico e negli ospiti la sensazione di aver partecipato a qualcosa di arricchente, restare nella mente di chi ci sarà stato per giorni o settimane dopo la fine dell’evento, lasciare il ricordo di un’esperienza di condivisione che si abbia voglia di ripetere.

Credo che come prima edizione questo mi sarebbe sufficiente.

Da un punto di vista organizzativo si tratta di un lavoro durato più di 12 mesi, tant’è che già stiamo pensando all’edizione 2022. Se tutto andrà come deve, se non ci saranno intoppi, problemi e cose a cui non avevo pensato, mi riterrò più che soddisfatta.

Un festival per tutte le età: sono previsti anche dei laboratori per l’infanzia, momenti (didattici?) all’insegna della promozione del plurilinguismo e della letteratura in generale che coinvolgeranno i più piccoli. Quanto è importante avvicinare i bambini a questi concetti già in tenera età?

 

Non lo so. Mi piacerebbe poter rispondere molto, ma la verità è che non lo so. Io sono cresciuta in una casa in cui gli unici libri presenti erano quelli che io e i miei fratelli portavamo da scuola, non sono stata educata alla lettura, né avevo idea dell’esistenza di uno Stato in cui si parlavano ufficialmente più lingue. Credo però che più cose sanno i bambini e più sono le realtà di cui fanno esperienza, più possibilità ci sono di avere in futuro degli adulti consapevoli ed empatici. I bambini amano i libri, amano le storie, è così da sempre. Noi vogliamo solo dar loro la possibilità di scoprire lati delle storie che forse non conoscono e creare un’occasione per farli incontrare tra loro e con il fatto che a pochi chilometri dalla loro casa ci sono bambini che parlano altre lingue, ma che sono bambini come loro. 

 

Potete vantare per questa edizione una presentazione in anteprima: la traduzione italiana del romanzo “Primitivo” di Pedro Lenz, premio di letteratura Canton Berna 2021. È coinvolta una lingua, anche se solo all’interno de romanzo, come lingua madre del protagonista, che va oltre i confini nazionali, lo spagnolo. La sua lingua madre. Alla luce del suo bagaglio di vita personale, cosa rappresenta oggi per lei il plurilinguismo?

 

Potrei parlare di questo argomento per ore, forse anche per giorni, senza giungere a una risposta precisa. Conduco questa indagine personale da anni, cerco di capire dove sia la madre, cosa la definisca e se sia una sola. 

Sono nata e cresciuta in un Paese in cui per più di 35 anni il plurilinguismo è stato scoraggiato, il castellano utilizzato come unica lingua ufficiale. Sicuramente il plurilinguismo svizzero per me è quindi una realtà estremamente affascinante. Uno Stato così piccolo, in mezzo all’Europa, che si è creato permettendo a chi entrava a farne parte di conservare le proprie radici linguistiche e che ancora oggi, con più o meno grandi contraddizioni o ipocrisie, sostiene e difende questa ricchezza di lingue, è un caso più unico che raro. 

  

Avete intenzione di dare vita a delle pubblicazioni dedicate all’evento?

 

No, non per ora almeno. Abbiamo in mente alcune cose per le edizioni successive alla terza, tutto può accadere nei prossimi anni. Ci lasceremo sorprendere dalle idee che nasceranno e le valuteremo man mano che si presenteranno.

 


Begoña Feijoo Fariña

Nata in Spagna nel 1977, vive in Svizzera da 33 anni. Dopo la laurea in Scienze Biologiche all’università dell’Insubria, ha lavorato diversi anni in ambito entomologico. Dal 2015 si occupa a tempo pieno di teatro e letteratura, organizzando eventi e creando proprie opere. Ha all’attivo tre romanzi: Abigail Dupont (Demian Edizioni, 2016), Maraya (Edizioni AUGH!, 2017) e Per una fetta di mela secca (Gabriele Capelli editore, 2020). Per il progetto di quest’ultimo romanzo ha vinto la borsa letteraria di Pro Helvetia e il concorso grandi progetti del cantone dei Grigioni nel 2018. È cofondatrice della compagnia teatrale inauDita, direttrice artistica e organizzatrice della rassegna di teatro contemporaneo I MONOLOGANTI e presidente della sezione Pgi Valposchiavo.

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